“Analisi della fobia di un bambino di cinque anni” di S. Freud
HANS: UN PICCOLO EDIPO
“Analisi della fobia di un bambino di cinque anni” è la prima relazione scritta di un’analisi infantile ed è conosciuta come “il caso del piccolo Hans”. L’analisi, pubblicata nel 1908, esprime al meglio le teorie che Freud stava formulando sul complesso di Edipo. “Hans – scrive Freud – è veramente un piccolo Edipo che vorrebbe togliere di mezzo il padre ed essere solo con la bella madre per dormire con lei”.
Il paragone tra l’eroe del luminoso mondo greco ed il nevrotico bambino della borghesia viennese potrebbe sembrare scandaloso; ma è pur vero che il percorso di degradazione del mito a nevrosi potrebbe invertirsi nella constatazione che il linguaggio dell’inconscio obbedisce alle leggi del mito: e allora quando Freud fa di Edipo un piccolo Hans non svilisce il mito trasformandolo in nevrosi, ma al contrario trasferisce la pulsione nevrotica sul piano alto ed universale della mitologia.
I genitori di Hans furono allievi di Freud: la madre era stata curata da lui prima del matrimonio, ed il padre, Max Graf, essendo uno dei membri delle riunioni del mercoledì sera in casa Freud, aveva seguito tutte le lezioni del maestro. Fu appunto il padre ad analizzare il bambino, anche se durante il lavoro analitico le consultazioni con Freud furono frequenti.
Il padre condusse l’analisi effettuando domande dirette al figlio e talvolta trovandosi anche nella condizione di dover tradurre ciò che al bambino poteva risultare difficile esprimere.
LA NEVROSI DI HANS
In ogni caso, lo stesso Freud afferma: “Secondo me, nessun altro sarebbe riuscito a far fare al bambino simili ammissioni (…) E’ solo perché l’autorità di padre e di medico si fondevano in una persona, e perché in essa si combinavano l’interesse affettivo e quello scientifico che è stato possibile in questo caso particolare applicare il metodo ad uno scopo cui esso di solito non si presta”.
Freud, per definire la nevrosi di Hans, usa il termine isteria d’angoscia, ammettendo d’altra parte di non aver ancora compreso in maniera approfondita il delicato meccanismo che soggiace a questo tipo di malattie. Ritiene in ogni caso che, fra tutte le malattie nevrotiche, sia quella meno dipendente da una costituzione particolare. Essa tende a manifestarsi in una fobia e provoca un lavoro psichico che, non potendo ritrasformare l’angoscia nella libido da cui deriva, non può far altro che cercare di interdire tutte le occasioni atte a provocarne lo sviluppo, erigendo barriere fatte di cautele, inibizioni, divieti.
Freud dovette difendersi da coloro che affermarono che le conclusioni raggiunte fossero dovute solo ai suggerimenti del padre, ponendo però l’accento sul cambiamento di opinione che si era verificato nei riguardi della suggestione. Infatti, mentre negli anni tra il 1887 ed il 1889 Freud, insistendo sull’importanza della suggestione, aveva incontrato l’opposizione della classe medica del tempo, ora paradossalmente quest’ultima attribuiva grosse potenzialità al metodo suggestivo.
Freud ritenne allora opportuno effettuare un esperimento: non volle rivelare al padre alcune importanti associazioni che aveva colto nel materiale. Il padre si trovò a lavorare, per così dire, al buio, finché fu proprio il bambino a chiarire alcuni aspetti essenziali, provando in questo modo una sua sufficiente indipendenza dalla suggestione.
Ma andiamo con ordine.
L’INTERESSE DI HANS PER LA GENITALITÀ
Fin dall’età di tre anni, Hans mostra un vivo interesse per la genitalità, in particolare per quella dei genitori. Il bambino non fa alcuna distinzione tra l’organo maschile e quello femminile, convinto che tutti gli esseri animati abbiano un “fapipì” come il suo. Questo suo forte interessamento non soltanto lo porta a sviluppare un certo piacere di guardare – nella sua forma attiva e passiva – anche rivolto agli organi genitali di diversi animali, come il leone ed il cavallo, ma lo incita all’autostimolazione assidua nonostante le minacce di evirazione da parte dei genitori, che sembreranno colpirlo in modo profondo solo in un momento successivo.
Ma la sessualità di Hans non è contraddistinta soltanto dall’aspetto auto-erotico: avendo pochissime relazioni con i suoi coetanei, finisce con l’adorare quasi tutti i bambini con cui entra in contatto – maschi e femmine – ed i suoi desideri appaiono evidenti sia per le loro manifestazioni fanciullesche, che spesso fanno divertire gli adulti che vi assistono, sia nei sogni che il piccolo racconta al padre.
Lo sviluppo sessuale di Hans ha un punto di svolta notevole al momento della nascita della sorellina Hanna: il bimbo, che vive tra l’altro un periodo di forte gelosia, comincia a nutrire una serie di dubbi riguardo all’esistenza della cicogna e nota le dimensioni davvero piccole del “fapipì” della neonata, pur non mettendone in discussione l’esistenza: “Quando crescerà lei, diventerà più grosso”, afferma convinto.
LE PAURE DI HANS
I disturbi di Hans e la sua paura di essere morso da un cavallo si presentano in concomitanza con un desiderio sempre più forte di farsi coccolare dalla mamma. Questa sua accresciuta tenerezza nei confronti della madre è il fenomeno alla base dello stato di Hans, è ciò che si trasforma in angoscia e che soggiace alla rimozione.
Ma da dove proviene la materia della fobia di Hans di essere morso da un cavallo? Probabilmente, dice Freud, da quegli stessi complessi che hanno contribuito alla rimozione della libido diretta verso la madre.
L’eccitazione di Hans nei confronti della madre si scarica ogni sera nel soddisfacimento masturbatorio, tanto che i genitori tentano di disabituarlo comunicandogli che l’angoscia è conseguenza di quella pratica. Ma il leggero miglioramento che ne segue scompare velocemente.
L’ansia del piccolo si manifesta con particolari paure e fantasie: una delle prime è quella serale di vedere entrare in camera un cavallo, dovuta presumibilmente al rafforzamento della libido nei confronti della madre ed al suo desiderio di dormire con lei (tanto più che la madre in passato, trovandolo in stati d’animo simili, aveva finito per prenderlo a letto con sé). Un’altra paura espressa chiaramente da Hans è quella degli animali grossi, in particolare del loro “fapipì”; il “fapipì” fa paura non tanto per le dimensioni in sé, quanto per i confronti che provoca con la grandezza del proprio.
LE FANTASIE E L’ANGOSCIA DI CASTRAZIONE
Una fantasia davvero singolare è quella in cui Hans, a letto, immagina due giraffe, una grande ed una sgualcita. Quella grande, che rappresenta in realtà la figura del padre (il bimbo associa il grande collo al grande pene), strilla perché Hans le prende quella sgualcita. Naturalmente la giraffa sgualcita è la mamma, ovvero il suo organo genitale, e la fantasia termina con il bambino che vi si mette a sedere sopra (probabilmente la raffigurazione del possedere e del trionfo sull’opposizione del padre). Il timore soggiacente alla fantasia è quello che il suo “fapipì” non possa competere con quello del papà.
L’angoscia di castrazione appare evidente nella non-accettazione da parte di Hans del fatto che le donne non abbiano un “fapipì”. In questo caso il pensiero soggiacente è questo: “se davvero le donne non hanno un fapipì, allora non sarebbe così strano se mi portassero via il mio”. Le parole della mamma hanno dunque ora il loro effetto.
Gran parte dell’analisi è incentrata sulla paura che Hans ha cominciato a nutrire dei confronti dei cavalli; il bambino rifiuta di uscire in strada e viene colto da una forte angoscia al loro apparire.
La fobia nasce quando Hans vede cadere un grosso cavallo. Scopriremo infatti, con il prosieguo dell’analisi, che proprio in quel momento nasce in lui il desiderio inconscio che anche il padre cada nello stesso modo e muoia. Se ciò accadesse, infatti, il suo desiderio di stare con la mamma non incontrerebbe più alcun ostacolo. Ma Hans vuole nello stesso tempo molto bene al padre e cerca di fargli capire, talvolta anche in modo piuttosto esplicito, come il suo amore sia in conflitto con l’innegabile ostilità causata dalla rivalità.
Conflittualità che trova conferma anche nel fatto che il bimbo ha paura sia che i cavalli mordano (punizione per aver provato desideri tanto cattivi nei confronti del padre), sia che cadano (morte del genitore). Con il procedere dell’analisi, il piccolo paziente ammette di non temere solo i cavalli, ma tutto ciò che viene caricato pesantemente, come gli omnibus, le carrozze ed i carri da trasloco: avendo paura che i cavalli cadano, incorpora nella fobia tutto quello che potrebbe facilitarne la caduta.
L’ASSOCIAZIONE TRA LA PAURA DEL PADRE E QUELLA DEI CAVALLI
L’associazione tra la paura del padre e quella dei cavalli risulta evidente anche quando Hans afferma che lo infastidisce quello che i cavalli hanno intorno agli occhi ed il nero intorno alla bocca: il padre di Hans, in effetti, portava gli occhiali ed aveva baffi neri.
Tuttavia, le successive interpretazioni metteranno in luce anche altri significati riguardo al momento in cui insorge la fobia, ovvero la caduta del pesante cavallo.
Altre fantasie del bimbo vedono coinvolto il padre nel fare con lui qualcosa di proibito. La prima, che prende spunto da un fatto realmente accaduto a Schonbrunn, vede i due che, per andare ad osservare le pecore, si infilano sotto delle corde, per poi confessarlo al guardiano, che li arresta. Nella seconda Hans immagina lui ed il papà in treno, che rompono un vetro e vengono successivamente arrestati da una guardia.
Tutto ciò può essere considerato in qualche modo una continuazione della fantasia delle giraffe: il piccolo, imbattendosi per la prima volta nella barriera contro l’incesto, esprime il sospetto che sia proibito prendere possesso della madre, ma reputa la cosa proibita in sé: il papà, infatti, gli è sempre complice nel compiere gli atti vietati oggetto delle sue fantasie.
Quando Hans racconta: “Io sto nella vasca da bagno e poi viene lo stagnaio e la svita. Poi lui prende un grosso trivello e mi colpisce nella pancia”, il padre dapprima interpreta la cosa come una fantasia in cui il bimbo, a letto con la mamma, viene scacciato dal babbo che lo spinge via col suo grosso pene. In realtà si tratta di una fantasia di procreazione: la grande vasca rappresenta l’alveo materno ed il trivello è il pene con cui il padre l’ha “fatto nascere”, mettendolo appunto nel ventre materno.
Hans comincia poi a rivolgere la sua attenzione al “complesso della tattetta” ed a provare disgusto per tutte le cose che gli ricordano l’evacuazione.
IL COMPLESSO DELLA “TATTETTA”
Secondo la teoria sessuale infantile, un bambino è una “tattetta”. Dunque, nonostante Freud avesse tralasciato di parlarne al padre di Hans, era normale che il piccolo paziente, relativamente alle fantasie ed ai desideri nati in lui dal momento dell’arrivo della sorellina, associasse il parto al complesso escrementizio. Questa teoria viene dimostrata anche dal fatto che è lo stesso Hans ad ammettere che qualche volta, mentre era seduto sul vasino e stava per fare una “tattetta”, aveva pensato di fare un bambino.
Il padre in ogni caso finisce per cogliere la simbologia della “tattetta” anche nelle analogie tra l’intestino pieno di feci ed i carri carichi che spaventano il bimbo, tra il modo in cui il carro esce dal cancello e l’evacuazione delle feci ecc. E nello stesso tempo gli omnibus ed i carri non sono che casse della cicogna, riferimenti simbolici alla gravidanza. Così, il cavallo che cade non rappresenta solo il padre che muore, ma anche la mamma che partorisce.
LA CONCLUSIONE DEL CASO
Al termine dell’analisi Hans, ormai guarito, ammette di desiderare di essere sposato con la madre e di voler avere dei bambini con lei. Trova una soluzione felice anche per il padre, risolvendo il complesso edipico in maniera molto più felice di quanto accada nel mito: fa sposare anche a lui la sua mamma, nel desiderio di donargli la sua stessa felicità.
Un’ultima fantasia del bimbo, in cui ritorna la figura dello stagnaio, dimostra come egli abbia risolto al meglio il suo complesso di castrazione: il piccolo paziente infatti racconta: “E’ venuto lo stagnaio e con le tenaglie prima mi ha portato via il popò e poi me ne ha dato un altro e poi lo stesso col fapipì”. Subito il padre intuisce che i nuovi popò e “fapipì” sono più grandi, come quelli del papà. Hans conferma la sua teoria ed aggiunge di desiderare anche i baffi ed i peli del petto come i suoi.
Il caso è dunque concluso.
Hans è guarito per essere riuscito ad esprimere, attraverso una serie di sogni, il complesso di inferiorità che nutriva nei confronti del padre, e la paura che la madre potesse preferirlo a lui, perché le dimensioni del suo organo genitale erano superiori (lo stesso motivo per cui, inconsciamente, era terrorizzato dai cavalli). Quando al bambino viene spiegata la situazione, e viene confortato dai genitori, il complesso sparisce praticamente del tutto, nonostante per qualche tempo persista un residuo della malattia, che però non è più espressa da paura, ma dalla normale pulsione a fare domande. Il residuo insolito consiste nel fatto che Hans continui a domandarsi cosa c’entri l’uomo nel concepimento del figlio, dal momento che è la madre a dargli la luce.
HANS: UN BAMBINO COME GL ALTRI
Secondo Freud, Hans non era un bambino “più degenerato” degli altri, né predisposto per eredità genetica alla malattia nervosa; anzi, si trattava di un bambino sereno e mentalmente sveglio, che aveva soltanto mostrato la sua angoscia in modo più audace di quanto accada normalmente, probabilmente anche a causa del modo con cui era stato allevato (senza intimidazioni eccessive e con poche, necessarie, costrizioni).
A distanza di anni, Freud ebbe anche la grande e gradita sorpresa di ricevere presso il suo studio un giovane di diciannove anni, alto e robusto, che presentandosi disse: “Ich bin der kleine Hans” (sono il piccolo Hans). Il ragazzo era in piena salute, non soffriva di alcun tipo di disturbo ed era riuscito a sopportare senza conseguenze una prova particolarmente difficile, la separazione dei suoi genitori.
Freud, che nel paragrafo introduttivo del caso aveva espresso addirittura dei dubbi riguardo alla possibilità di intervento in età infantile, fu fortunatamente smentito dai successi terapeutici che successivamente tale tipo di intervento produsse. Egli rimase comunque piuttosto prudente a tale proposito, tanto da non considerare che si era aperto un nuovo campo di intervento per la psicanalisi: quello dell’analisi infantile.